Recensione. "Una vita come tante" di Hanya Yanagihara.



Ho cercato di ritrovare in altri libri ciò che mi ha lasciato questo romanzo. L'amarezza, la rabbia, la confusione e il disagio che ho provato durante la lettura non sono rintracciabili in altri testi nella medesima misura. Quando portai a termine la lettura mi chiesi se ne fosse valsa la pena, se fosse stato un errore perdere tutto quel tempo - circa quattro settimane. Poi trovai la risposta: sì. Ne è valsa la pena, è stata una bella lettura. Tuttavia, non lo rileggerei, perché uno sguardo prevenuto potrebbe far crollare l'idea che ho di questo libro.

I protagonisti del romanzo ci vengono presentati come dei vinti, apparentemente di memoria verghiana. Essi, nonostante le diverse sconfitte, riescono a prendere quella parte nel mondo, ovvero nella società, che tanto hanno bramato. Nonostante le cosiddette difficoltà vengano superate, ci sarà sempre un pungolo dolente conficcato nella carne dei personaggi. Questo avviene poiché il vero protagonista del romanzo è il dolore, il quale investe la struttura e la trama del testo. Tutto ciò che accade nel romanzo è propedeutico al messaggio che il testo deve trasmettere: non ci sarà sempre un lieto fine, non tutto si può sistemare e non sempre è possibile superare il dolore.
Esso non ha un fine "educativo". Molte volte mi sono domandato perché Jude non stesse imparando a riconoscere determinate situazioni oggettivamente pericolose. La risposta alla mia unica e perpetua domanda era esplicitata nel testo: Jude ritene che sia giusto, che debba meritare tutto questo.
Ci sono degli aspetti che non ho particolarmente apprezzato, come la gestione stessa del dolore.
Comprendo l'idea di voler slacciare questo concetto da una visione quasi hegeliana. Non sempre tutto il male viene per fortificarti o farti crescere. Tuttavia, non condivido il modo in cui è stata trasmessa questa idea. Il dolore, verso la fine, pare fine a se stesso, privo di una meta e di uno scopo.
Poi vi è un elemento positivo, che mi ha fatto amare il romanzo fin dalle sue prime pagine.
La penna dell'autrice cattura, quasi ammalia, il lettore, trascinandolo senza chiedere il suo consenso in un vortice di vicende e personaggi.

- Il piccolo Perseo

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